Julian Assange hero

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    CITAZIONE (Gargaros @ 5/7/2020, 22:23) 
    No, ma, cioè... E' nato il 4 Luglio?

    Il destino a volte è di uno spasso...

    No, il 3. Il giorno prima dell' "indipendenza". Chissà se la festeggiano anche i nativi...
     
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    7 settembre: riprende, a Londra, la serie di udienze processuali.

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    Presidio a Milano per la libertà di Julian Assange (Pressenza)

    testo in spoiler
    Il 7 settembre, a Londra, riprenderà la serie di udienze processuali in cui verrà dibattuta la richiesta di estradizione emanata dagli Stati Uniti d’America contro il giornalista e cofondatore di WikiLeaks, Julian Assange, attualmente detenuto nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh.

    Assange, le cui condizioni fisiche e mentali sono da considerarsi critiche, rischia fino a 175 anni di carcere per avere rispettato il nostro diritto all’informazione in modo consapevole e coraggioso. Proprio mentre gli stessi Stati Uniti, che lo accusano di spionaggio e di aver diffuso informazioni classificate, non si stanno segnalando come un Paese esattamente democratico. E questo è sotto gli occhi di tutti.

    Chiedere la libertà di Assange significa difendere la nostra libertà.

    Ritroviamoci lunedì 7 settembre 2020, alle ore 18.30, in piazza del Liberty davanti al Consolato britannico di Milano.

    https://facebook.com/events/s/presidio-a-m...04070116948783/



    “Se Londra fa estradare Assange sarà la fine della libertà di stampa” – Intervista a Kenneth Roth di Human Rights Watch (Il fatto quotidiano)


    testo in spoiler

    di Stefania Maurizi | 3 SETTEMBRE 2020
    È il processo che deciderà i confini della libertà di stampa nelle nostre democrazie. Lunedì, a Londra, il dibattimento sull’estradizione negli Stati Uniti del fondatore di WikiLeaks entrerà nel vivo. Il Fatto Quotidiano ha chiesto un’analisi a Kenneth Roth, direttore di Human Rights Watch, una delle più importanti organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani.

    Quando l’anno scorso Julian Assange è stato arrestato, lei ha scritto un editoriale per il Guardian sostenendo che ‘il modo in cui le autorità inglesi risponderanno alla richiesta di estradizione degli Usa determinerà quanto è seria la minaccia che questo processo pone alla libertà di stampa in tutto il mondo”. Un anno dopo, è chiaro come rispondono: tengono Julian Assange in un carcere di massima sicurezza da oltre un anno, con il rischio che venga infettato dal Covid. È un trattamento compatibile con la libertà di stampa?
    Rimango dell’opinione che sia completamente sbagliato perseguire Assange per aver semplicemente pubblicato i documenti segreti del governo che gli ha inviato Chelsea Manning. Ed è particolarmente sbagliato usare l’Espionage Act, che non consente una difesa dei whistleblower, quindi se Assange finirà davanti a una Corte negli Stati Uniti, non potrà difendersi dicendo che ha rivelato quei file nel pubblico interesse. Il governo americano – perfino l’Amministrazione Trump – si rende conto della minaccia che pone al giornalismo l’Espionage Act usato contro la pubblicazione di documenti, quindi quello che sta cercando di fare è dipingere Julian Assange come un hacker.

    Un esperto di sicurezza informatica e giornalista che non è affatto un suo sostenitore ha analizzato le accuse di hacking e ha concluso che ciò che Assange ha fatto non ha nulla a che vedere con l’hacking: ha assistito Manning nell’accedere ai computer del governo preservando l’anonimato. Noi giornalisti facciamo ogni giorno cose analoghe per proteggere le nostre fonti…
    Mi rendo conto: spesso i giornalisti forniscono alle loro fonti dei sistemi per inviare informazioni in modo confidenziale. È la regola, per esempio, nel giornalismo che si occupa di sicurezza nazionale. Il governo americano sostiene che Assange sia andato oltre e abbia aiutato Manning non semplicemente a proteggere la sua identità, ma ad hackerare i computer. Non so se sia vero o meno e mi rendo conto che Assange sostiene di non averlo fatto. Se si dovesse procedere con l’estradizione, è importante che il governo inglese ponga una barriera a difesa della libertà di espressione: non deve dire sì a un’estradizione finalizzata a punire la pubblicazione di documenti segreti o l’aiuto a una fonte giornalistica per proteggerne l’identità.

    Le autorità inglesi amano mostrare fair play e hanno nominato Amal Clooney come loro rappresentante per la libertà di stampa. Eppure, nel caso Assange, gli inglesi hanno detenuto arbitrariamente un giornalista per nove anni, come ha stabilito il Working Group (Unwgad) delle Nazioni Unite, e hanno completamente ignorato l’Inviato Speciale Onu contro la Tortura, Nils Melzer, che ha denunciato la tortura psicologica subita da Assange. Come fare affinché l’Inghilterra rispetti le leggi internazionali?
    A questo punto la domanda importante che si trovano ad affrontare la Corte e il governo inglesi è se estradare Julian Assange o no. Sono in gioco principi fondamentali come la libertà di espressione e di stampa. Quello che succederà dipende da Londra.

    Il dato di fatto più scioccante è che, dopo aver rivelato crimini di guerra e torture degli Usa, Assange non ha mai più conosciuto la libertà, mentre i criminali di guerra e i torturatori esposti da WikiLeaks non hanno passato un solo giorno in prigione. Non è un mondo alla rovescia?

    Il governo americano ha un terribile record in materia di punizione dei suoi criminali di guerra. E non solo l’Amministrazione Trump: il problema risale a Obama e Bush. Ho discusso personalmente questo argomento con il presidente Obama: semplicemente non voleva pagare il prezzo politico che comportava il perseguire i torturatori di Bush. Creare questo precedente è pericoloso, perché suggerisce che quei crimini di guerra possono essere commessi di nuovo nell’impunità e indebolisce le regole internazionali, perché per giustificare il fatto che non rispondono dei loro abusi, i dittatori puntano il dito sistematicamente verso il fallimento degli Usa nel punire i loro criminali di guerra.
    Se gli Usa possono estradare un giornalista ed editore per aver pubblicato documenti segreti, lei crede che altri Paesi come Arabia Saudita, Egitto, Cina, Russia, proveranno a fare lo stesso, innescando un effetto domino che distruggerà la libertà di stampa?

    Tutti i governi che lei ha citato perseguono già ora i giornalisti semplicemente perché li criticano. Non facciamo finta che il governo cinese abbia bisogno di Trump per perseguire i giornalisti. Ma se lui riuscisse a imprigionare Assange, sarebbe una minaccia alla stampa Usa e occidentale.
     
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    WIKILEAKS: ESTRADIZIONE ASSANGE, IL GIORNALISTA JOHN PILGER IN DIFESA DEL COLLEGA, “CONTRO DI LUI PROCESSO STALINISTA”



    freejulianassange



    Link al titolo
    Testo in spoiler, con il discorso di John Pilger

    Riportiamo, grazie al sito internet ComeDonChisciotte.org, il discorso che il celebre giornalista australiano John Pilger ha pronunciato il 9 settembre davanti alla Corte penale centrale di Londra mentre l’udienza per l’estradizione del direttore di #WikiLeaks entrava nella sua fase finale.
    https://comedonchisciotte.org/il-processo-...julian-assange/

    LONDRA – Quando incontrai per la prima volta #JulianAssange più di dieci anni fa, gli chiesi perché avesse fondato WikiLeaks.

    Mi rispose: “La trasparenza e la responsabilità sono questioni morali che devono essere l’essenza della vita pubblica e del giornalismo”.

    Non avevo mai sentito un editore o un giornalista invocare la moralità in questo modo.

    Assange crede che i giornalisti siano gli agenti dei popoli, non del potere: che noi, i popoli, abbiamo il diritto di conoscere i segreti più oscuri di coloro che affermano di agire in nome nostro.

    Se i potenti ci mentono, abbiamo il diritto di saperlo.

    Se dicono una cosa in privato e il contrario in pubblico, abbiamo il diritto di saperlo.

    Se cospirano contro di noi, come hanno fatto Bush e Blair sull’Iraq, e poi fingono di essere democratici, abbiamo il diritto di saperlo.

    Questa moralità di intenti minaccia la collusione di poteri che vogliono far precipitare gran parte del mondo in guerra e vogliono seppellire Julian vivo nell’America fascista di Trump.

    Nel 2008, un rapporto top secret del Dipartimento di Stato americano descriveva in dettaglio come gli Usa avrebbero combattuto questa nuova minaccia di natura etica.

    Una campagna di diffamazione personale, diretta segretamente contro Julian Assange, che avrebbe portato a “diffamazione e persecuzione penale”.

    L’obiettivo era mettere a tacere e criminalizzare WikiLeaks e il suo fondatore.



    Pagina dopo pagina descriveva una guerra imminente contro un singolo essere umano e contro il principio stesso di libertà di parola e di pensiero e la democrazia.

    Le truppe d’assalto imperiali sarebbero stati quelli che si definiscono giornalisti: i grandi battitori del cosiddetto mainstream, soprattutto i “liberali” che segnano e pattugliano il perimetro del dissenso.

    Ed è andata proprio così.

    Sono giornalista da più di cinquant’anni e non ho mai conosciuto una campagna diffamatoria come questa: la diffamazione fabbricata di un uomo che si è rifiutato di entrare nel club, credendo che il giornalismo sia un servizio per il pubblico, mai per i potenti.

    Assange ha svergognato i suoi persecutori.

    Ha prodotto scoop dopo scoop.

    Ha denunciato la frode delle guerre promosse dai media e la natura omicida delle guerre Usa, la corruzione dei dittatori, i mali di Guantanamo.

    Ha costretto noi Occidentali a guardarci allo specchio.

    Ha esposto come collaborazionisti quelli che rappresentano le verità ufficiali sui media: quelli che chiamerei giornalisti di Vichy.

    Nessuno di questi impostori ha creduto ad Assange quando ha avvertito che la sua vita era in pericolo: che lo “scandalo sessuale” in Svezia era una impostura che la sua destinazione finale era un inferno statunitense.

    Aveva ragione, ripetutamente ragione.

    L’udienza di estradizione a Londra questa settimana è l’atto finale di una campagna anglo-americana per seppellire Julian Assange.

    Non è un giusto processo. È vendetta calcolata.

    L’accusa americana è chiaramente truccata, una farsa dimostrabile.

    Finora, le udienze hanno ricordato equivalenti stalinisti durante la Guerra Fredda.

    Oggi, la terra che ci ha dato la Magna Carta, la Gran Bretagna, si distingue per abbandonare la propria sovranità permettendo a una potenza straniera maligna di manipolare la giustizia e per la feroce tortura psicologica di Julian – una forma di tortura, come l’esperto delle Nazioni Unite Nils Melzer ha sottolineato – che fu perfezionata dai nazisti e resa più efficace nello spezzare le loro vittime.

    Ogni volta che ho visitato Assange nella prigione di Belmarsh, ho visto gli effetti di questa tortura.

    L’ultima volta che l’ho visto aveva perso più di dieci chili; le sue braccia non avevano muscoli.

    Incredibilmente, il suo malizioso senso dell’umorismo era intatto.

    Per quanto riguarda la patria di Assange, l’Australia ha mostrato solo una vergognosa codardia perché il suo governo ha segretamente cospirato contro un suo cittadino che dovrebbe essere celebrato come eroe nazionale.

    Non per niente George W. Bush consacrò il primo ministro australiano come suo “vice sceriffo”.

    Si dice che qualunque cosa accada a Julian Assange nelle prossime tre settimane ridurrà se non distruggerà la libertà di stampa in Occidente.

    Ma quale stampa? Il Guardian? La Bbc, il New York Times, il Washington Post di Jeff Bezos?

    No, i giornalisti di queste organizzazioni possono respirare liberamente.

    I Giuda sul Guardian che hanno flirtato con Julian, hanno sfruttato il suo cruciale lavoro, hanno fatto i soldi e poi lo hanno tradito, non hanno nulla da temere.

    Sono al sicuro perché sono necessari.

    La libertà di stampa ora compete a poche persone rispettabili: le eccezioni, i dissidenti su Internet che non appartengono a nessun club, che non sono né ricchi né carichi di Pulitzer, ma producono un giornalismo eccellente, disobbediente e morale – quelli come Julian Assange.

    Nel frattempo, è nostra responsabilità sostenere un vero giornalista il cui puro coraggio dovrebbe essere fonte di ispirazione per tutti noi che crediamo ancora che la libertà sia possibile.

    Lo saluto.

    Articolo scelto e tradotto da Leopoldo Salmaso per ComeDonChisciotte.org
    FONTE: https://www.counterpunch.org/2020/09/07/th...julian-assange/
     
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    "Ecate, figlia mia..."

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    Un po' da qui, un po' da lalà

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    Ehhh, visto che i "mass media" non fanno cenno, dovremo affidarci ad altri.
    Pare che oggi fake news sia diventato sinonimo di fare informazione, cosa, quest'ultima, che ormai non rientra più nelle priorità di chi dovrebbe essere preposto a farlo. Se non altro perché pagato o sovvenzionato, magari con i soldi dei contribuenti.

    Il processo farsa contro Assange. Ecco chi deciderà per l'estradizione negli Stati Uniti
    Emma Arbuthnot, moglie di un big dell’industria militare e dell’intelligence americana. E' lei il giudice che supervisiona la giudice Baraitser
    arbuthnot-emma-610



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    testo in spoiler

    Il processo farsa contro Assange. Ecco chi deciderà per l'estradizione negli Stati Uniti
    Dettagli Pubblicato: 16 Settembre 2020

    di Karim El Sadi
    Emma Arbuthnot, moglie di un big dell’industria militare e dell’intelligence americana. E' lei il giudice che supervisiona la giudice Baraitser

    John Shipton, padre di Julian Assange, è un uomo di alto rigore morale, di quelli che non si lasciano travolgere dalle emozioni. Mai una parola fuori posto, mai un giudizio senza conoscere i fatti. A chi gli fa domande sul processo - di importanza vitale per il figlio, nel vero senso del termine - risponde sempre con la pacatezza e l’eleganza che lo contraddistinguono rispettando il collegio giudicante. Di recente però ha detto chiaramente, senza mezzi termini, che il processo per l’estradizione di Julian è a tutti gli effetti un “show trial”. Tradotto, un “processo farsa”. E se lo dice lui qualche motivo c’è. La ragione di questa amara consapevolezza è una e riguarda chi in ultima battuta dovrà pronunciarsi sull’estradizione del figlio negli Stati Uniti. Si tratta di Emma Arbuthnot (in foto) la giudice capo che, a Londra, ha istruito il processo per l’estradizione. Occhi di ghiaccio e sguardo fermo, finora la Arbuthnot non ne ha lasciata passare una agli avvocati del fondatore di Wikileaks. Due anni fa, quando in Svezia era stata archiviata l’accusa di violenza sessuale contro Assange la Arbuthnot si è rifiutata di annullare il mandato di arresto, così che il giornalista non potesse ottenere asilo in Ecuador. L’anno scorso ha respinto le conclusioni del Gruppo di lavoro di un team delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria di Assange. Totalmente ignorate anche quelle del Relatore Speciale Onu contro la tortura, Nils Melzer, il quale aveva denunciato che “Assange, detenuto in condizioni estreme di isolamento non giustificate, mostra i sintomi tipici di un’esposizione prolungata alla tortura psicologica”. Durante i mesi di quarantena, mentre migliaia di detenuti del carcere di Belmarsh hanno ottenuto i domiciliari per scongiurare il rischio contagio, Julian Assange è rimasto in cella, esposto al Covid-19 in condizioni fisiche compromesse. Per ultimo, come avvenuto nelle scorse udienze, a Julian Assange è impedito potersi difendere dalle accuse dei procuratori perché minacciato di espulsione dall’aula se interviene. Ma perché tanta intransigenza? Qual è il motivo di questo oggettivo accanimento nei confronti di Assange?
    Il processo di estradizione è presieduto dal giudice Vanessa Baraitser. E' lei che deciderà se il giornalista dovrà o meno essere estradato negli States dove lo attendono 175 anni di carcere. A guidarla però è la giudice Arbuthnot, la quale anche se da novembre scorso non presiede più formalmente il procedimento di estradizione, è rimasta in un ruolo di supervisione del procedimento assieme al suo giudice distrettuale subordinato, la Baraitser per l'appunto. Nulla di scandaloso. Lo prevede il regolamento del tribunale britannico secondo il quale il magistrato capo è "responsabile di sostenere e guidare i colleghi giudici distrettuali". Il problema però è che su Emma Arbuthnot è stato di recente sollevato un insidioso caso di conflitto d’interessi. Lady Arbuthnot, infatti, è moglie di Lord James Arbuthnot, già ministro degli appalti della Difesa, legato al complesso militare-industriale e ai servizi segreti della Corona. Lord Arbuthnot è tra l’altro presidente del comitato consultivo britannico della Thales, multinazionale francese specializzata in sistemi militari aerospaziali, e membro di quello della Montrose Associates, specializzata in intelligence strategica (incarichi lautamente retribuiti). Non solo. Lord Arbuthnot, come denuncia il Comitato No Guerra No Nato, è componente della Henry Jackson Society (HJS), influente think tank transatlantico legato a Washinton e ai servizi segreti americani. Lo scorso luglio, la HJS ha invitato il segretario di stato Usa Mike Pompeo a Londra a intervenire in alcuni incontri. Pompeo è un nemico storico di Wikileaks. Da quando era direttore della Cia nel 2017 accusa la testata di essere “un servizio di spionaggio del nemico”. La stessa campagna condotta dalla HJS, che accusa Assange di “seminare dubbi sulla posizione morale dei governi democratici occidentali, con l’appoggio di regimi autocratici”. Inoltre, nel consiglio politico della HJS, a fianco di Lord Arbuthnot, sedeva di recente Priti Patel, l’attuale segretaria agli Interni del Regno Unito, cui compete l’ordine di estradizione di Assange. Lady Arbuthnot, consorte di Lord Arbuthnot, è quindi chiaramente collegata a questi ambienti militari e di intelligence anglo-statunitensi dai quali proviene una pressante campagna mediatica e politica per l’estradizione di Julian Assange, reo di aver infranto il simulacro di menzogne che per anni ha costituito la narrativa mainstream sulle cosiddette guerre umanitarie in Africa e Medio Oriente.

    Fonte: Il Manifesto




    Assange "ammanettato e nudo" in carcere! A sua difesa, testimonia Daniel Ellsberg. Le sue rivelazioni misero fine alla guerra del Vietnam
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    testo in spoiler


    Partiamo dai continui abusi che il Fondatore di Wikileaks continua a subire durante al sua prigionia.


    Stella Moris, compagna di Julian Assange, denuncia che il fondatore di WikiLeaks non è stato in grado di consultare adeguatamente i suoi avvocati dalla "scatola di vetro" dove l'hanno messo durante l'udienza sulla sua estradizione dal Regno Unito agli Stati Uniti.

    La compagna di Julian Assange, Stella Moris, lamenta che il fondatore di WikiLeaks è vittima di un trattamento fatto di continui abusi nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh, a sud-est di Londra, da dove sta conducendo una battaglia legale per evitare di essere estradato negli Stati Uniti.

    "Ogni giorno Julian viene svegliato alle 5 del mattino, ammanettato, rinchiuso in celle, spogliato e sottoposto ai raggi X. Viene trasportato [in tribunale] per un'ora e mezza in quella che sembra una bara verticale in un furgone claustrofobico. Si trova in una scatola di vetro in fondo al tribunale da cui non può consultare adeguatamente i suoi avvocati", ha scritto Moris sul suo account Twitter .

    Naturalmente la notizia non avrà eco sui media mainstream. Si chiama Navalny? Tikhanovskaya? Si chiama Assange ha avuto il "torto" di pubblicare e rendere noti i crimini di guerra che gli Stati Uniti in Iraq e Afganistan.

    La testimonianza di Daniel Ellsberg

    Intanto, a difesa di Assange, ha testimoniato Daniel Ellsberg, noto per aver contribuito a porre fine alla guerra del Vietnam con la pubblicazione dei cosiddetti 'Pentagon Papers' nel 1971, il quale sostiene che ci sono echi della sua esperienza nel modo in cui Assange viene trattato oggi

    L'ex analista militare Daniel Ellsberg, 89 anni, ha difeso Julian Assange ieri durante un'udienza giudiziaria presso la Corte penale centrale di Londra, a cui ha partecipato tramite una videochiamata per supportare il fondatore di WikiLeaks nella sua battaglia legale per evitare l'estradizione Negli Stati Uniti.

    Ellsberg, che nel 1971 fece trapelare i cosiddetti Pentagon Papers e contribuì così a porre fine alla guerra del Vietnam, ha ribadito di vedere gli echi della propria esperienza nel modo in cui il governo degli Stati Uniti tratta Assange. Come lui, Ellsberg ha affrontato la prospettiva di passare decenni in prigione.

    L'ex analista delle forze armate statunitensi ha dichiarato alla corte che, dopo aver incontrato più volte il fondatore di WikiLeaks negli ultimi dieci anni, ha concluso che entrambi condividono le stesse aspirazioni di far luce sulla " grande mancanza di trasparenza "da parte di coloro che prendono decisioni chiave negli Stati Uniti, soprattutto quando si tratta di questioni di guerra. I file relativi alle guerre in Afghanistan e Iraq e trapelati da WikiLeaks, ha detto, hanno mostrato che la tortura era stata "normalizzata".

    "Il pubblico americano aveva urgentemente bisogno di sapere cosa veniva fatto di routine per loro conto, e non c'era altro modo per scoprirlo se non attraverso la divulgazione non autorizzata", ha affermato Ellsberg nella sua testimonianza scritta, citata da AP.

    "Vedo la più stretta delle somiglianze con l'accusa che ho dovuto affrontare, in cui l'esposizione dell'illegalità e degli atti criminali commessi istituzionalmente e individualmente era destinata ad essere schiacciata dall'Amministrazione che ha effettuato quelle illegalità" ha ricordato.
    Ellsberg, che ha lavorato sia per il Dipartimento di Stato americano che per il Pentagono, ha affermato che Assange "non potrà avere un giusto processo per ciò che ha fatto sotto queste accuse" nel caso in se venisse estradato negli Stati Uniti. Come lui, è stato lasciato senza la possibilità di sollevare una difesa dell'interesse pubblico per la sua fuga di documenti del Pentagono.

    L'ex analista ha anche sottolineato che non ci sono state "prove zero" che l'attività di Assange e WikiLeaks abbia danneggiato qualcuno. Ha precisato che le guerre in Afghanistan e Iraq hanno lasciato milioni di rifugiati e più di un milione di morti, osservando che è " estremamente cinico " per il governo degli Stati Uniti fingere di essere preoccupato quando ha trascorso gran parte degli ultimi 19 anni a mostrare "disprezzo" a tale riguardo.



    Notizia del: 17/09/2020
     
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    Ennesima pagliacciata del parlamento europeo (sì, con la p minuscola). Si parla di diritti fondamentali :)

    Link a caso. Le informazioni essenziali sono comunque visibili dovunque ci si prenda la briga di avere almeno l'obiettivo di fare informazione. No, in televisione, difficilmnete la sentirete.

    L'ipocrisia europea: in Parlamento i diritti fondamentali senza un accenno ad Assange.


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    link al titolo
    testo riportato in spoiler


    L'ipocrisia europea: in Parlamento i diritti fondamentali senza un accenno ad Assange
    Eugenio Abruzzese 28 Novembre 2020
    Il 24 novembre, in occasione del rapporto sulla situazione dei diritti fondamentali nell’unione europea, Clare Daly eurodeputata irlandese e relatrice per la relazione annuale sui diritti fondamentali, ha proposto un emendamento per reinserire il caso Assange nella relazione finale.
    Infatti, in un primo momento presente nel testo, il nome di Assange è stato rimosso il 23 Novembre per decisione di una commissione di parlamentari europei composta dal Partito popolare europeo (PPE), dai Socialisti e Democratici (S&D) e dal partito Renew Europe.
    Eppure tra i diritti fondamentali la libertà di stampa dovrebbe essere al primo posto. Senza la libertà di stampa non è possibile conoscere le altre violazioni dei diritti fondamentali. In una democrazia, i giornalisti possono rivelare crimini di guerra e casi di tortura e abusi senza dover andare in prigione. È il ruolo stesso della stampa in una democrazia.
    Nell’emendamento in questione di Clare Daly c’è scritto che “il whistleblowing è un fondamentale aspetto della libertà di espressione e gioca un ruolo fondamentale nell’indagare e segnalare illeciti e nel rafforzare la responsabilità e la trasparenza democratiche. Inoltre il whistleblowing rappresenta una fonte informativa chiave nella lotta contro il crimine organizzato e nell’investigazione, identificazione e pubblicazione di casi di corruzione nei settori privati e pubblici. […] La detenzione e le criminali accuse contro Assange rappresentano un precedente pericoloso per i giornalisti come affermato dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio Europeo (Risoluzione 2317)”.
    L’emendamento è stato bocciato con 191 voti favorevoli, 408 contrari e 93 astenuti.
    Dunque quali “diritti fondamentali” intende il Parlamento europeo quando convoca appositamente una seduta per discuterne?
    Di quali violazioni dei “diritti fondamentali” è consentito parlare?
    Le domande sono molte e sorgono spontaneamente.
    E’ evidente che la stesura finale di un rapporto sui diritti fondamentali in cui non viene menzionato Julian Assange, giornalista in carcere per aver rivelato crimini di guerra, non può essere presa seriamente.
    Al Parlamento europeo la verità, la giustizia e il coraggio hanno lasciato spazio al terrore e alla sottomissione. Non si vuole arrecare fastidio in alcun modo alla coppia USA-UK.

    La persecuzione
    Attualmente in prigione a Belmarsh da 17 mesi in regime d’isolamento, Julian Assange sta subendo un processo così farsa che non sembra sforzarsi neanche di mantenere un'apparenza di legittimità. Già si sa come andrà a finire questo processo.
    Fin dall’inizio si presenta come un processo a porte chiuse. Da un numero iniziale di 18 visitatori permessi, si è passati a quattro e infine a due oltre ai cinque posti per i familiari di Assange.
    L’accesso è stato vietato anche ad ONG (tra le quali Amnesty International, Reporter Senza Frontiere, PEN e altre che in origine avrebbero dovuto invece partecipare), grandi media e politici internazionali(ad esempio a settembre è stato revocato l’accesso ai seguenti europarlamentari: Maria Arena, Clare Daly, Sira Rego, Luke Flanagan, Anne-Sophie Pelletier, Mick Wallace, Miguel Urban Crespo, Markéta Gregorova).


    parlamento europeo 820 c imagoeconomica 1445781

    Il Parlamento Europeo © Imagoeconomica


    Durante lo svolgimento del processo sono state segnalate varie irregolarità. Ad esempio alla parte querelante è stato permesso di riformulare completamente il testo dell’accusa dando alla difesa solo mezz’ora per prepararsi alle nuove domande. Oppure mentre il giudice dava alla parte accusante tutto il tempo, anche 3 ore di fila, per fare le domande, chiedeva invece alla difesa risposte secche che necessitavano una svelta consulta di centinaia di pagine.
    Inoltre Assange durante tutto il processo è stato tenuto all’interno di una gabbia di vetro che gli impediva di fatto di interagire coi suoi avvocati.
    Per quanto riguarda le vergognose false accuse di minor rape che furono mosse contro Assange quando era in Svezia, nessuna traccia. Ampiamente smentite da Nils Melzer, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, le false accuse servirono comunque per ottenere un mandato contro Julian Assange e, soprattutto, macchiarne mediaticamente l’immagine. Questa campagna diffamatoria, nota come framing, ha ancora oggi un impatto molto forte. Nonostante queste calunnie siano state ampiamente confutate e invalidate da ricerche approfondite, nell’immaginario delle persone non informate della vicenda l’immagine di Julian Assange sarà sempre collegata a queste campagne diffamatorie: spia russa, molestatore, hi-tech terroristi (come lo definì nel 2010 l’allora vice-presidente Joe Biden, attuale presidente degli Usa).

    Covid-19 a Belmarsh
    La detenzione di Julian Assange è ancora più scandalosa se si considera il fatto che, oltre alle folli accuse -pericolose per tutto il giornalismo- a suo carico, ha una malattia respiratoria cronica che lo rende dunque più vulnerabile al Covid-19. Ma anche questo non sembra essere un buon motivo per risparmiargli una pena così dura e irrazionale: ciò che subisce Assange è allestito in modo tale da renderlo una punizione esemplare, in modo da mettere in guardia qualsiasi giornalista o whistleblower che un domani vorrà informare l’opinione pubblica di qualche crimine.
    Neanche una settimana fa è scoppiato un focolaio di Covid-19 proprio nella sezione del carcere dove viene tenuto Assange. I detenuti sono stati spostati in isolamento per evitare il contagio. Questa è la situazione psicologica di assedio costante in cui viene tenuto Julian Assange.
    In questo momento la verità (e la libertà di informazione di noi tutti) è sepolta viva nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh e si chiama Julian Assange.
    Citando le parole di Edward Snowden: “Se l’esposizione dei crimini è trattata come un crimine, siamo governati da criminali”.

    Foto di copertina © Acidpolly/Flickr

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    Link Ansa alla negata estradizione di Julian Assange.

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    La giustizia inglese nega l'estradizione di Assange
    Clamorosa sorpresa rispetto a attese. Washington può far ricorso



    Link al testo Ansa nel titolo
    In spoiler l'intero testo

    La giustizia inglese nega l'estradizione di Assange
    Clamorosa sorpresa rispetto a attese. Washington può far ricorso

    La giustizia britannica ha respinto la contestata istanza di estradizione negli Usa di Julian Assange, dove il fondatore australiano di WikiLeaks è accusato di spionaggio e pirateria per aver contribuito a svelare file riservati americani relativi fra l'altro a crimini di guerra in Afghanistan e Iraq. A emettere il verdetto, a sorpresa rispetto alle attese, è stata la giudice Vanessa Baraister.

    Assange, che Oltreoceano rischiava una condanna a 175 anni, sarebbe a rischio di suicidio, ha decretato la giudice. Washington potrà fare appello.

    Il verdetto è stato accolto dalle lacrime di Stella Morris, compagna dell'attivista australiano, e dal suo abbraccio in aula con Kristinn Hrafnsson, attuale direttore di WikiLeaks. Baraister si è detta persuasa della "buona fede" degli inquirenti americani e ha respinto le contestazioni della difesa contro i timori di un processo iniquo Oltreoceano. Ma ha negato comunque l'estradizione, definendo insufficienti le garanzie date dalle autorità di Washington a tutela dal pericolo di un eventuale tentativo di suicidio del fondatore di WikiLeaks. "Stabilisco che l'estradizione sarebbe troppo oppressiva per ragioni di salute mentale e ordino il suo rilascio", ha concluso la giudice. Per ora Assange resta in custodia in attesa dell'indicazione - in giornata - di una cauzione sulla base della quale potrà essere scarcerato nelle prossime ore, in modo da aspettare l'esito dei possibili ricorsi da libero cittadino.

    Gli Usa sono "estremamente delusi" dalla decisione delle autorità giudiziarie britanniche di non concedere l'estradizione del fondatore di Wikileaks Julian Assange negli Stati Uniti. Lo afferma il dipartimento di giustizia americano.

    In un comunicato il portavoce del dipartimento di Giustizia Usa, Marc Raimondi, afferma che gli Usa continueranno a chiedere l'estradizione di Assange.

    "Sebbene siamo estremamente delusi dalla decisione finale della corte - spiega - siamo lieti che la corte ha respinto tutti gli argomenti del signor Assange riguardanti la motivazione politica, il reato politico, il giusto processo e la libertà di parola. Continueremo a chiedere l'estradizione di Assange negli Stati Uniti".

    Intanto il Messico - hanno reso noto fonti ufficiali - ha offerto asilo politico ad Assange.



    RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA
     
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    Gli inglesi si dimostrano ancora una volta capaci di pensiero autonomo, dopo la brexit. Grandi. L'anno comincia bene :)
     
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    CITAZIONE (Gargaros @ 4/1/2021, 22:59) 
    Gli inglesi si dimostrano ancora una volta capaci di pensiero autonomo, dopo la brexit. Grandi. L'anno comincia bene :)

    Fino a un certo punto. Gli è stata negata la libertà su cauzione, a cui ha diritto.
     
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    Crocifissione collaterale



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    Il duo di artisti Captain Borderline ha dipinto su un’intera facciata a Berlino un enorme murales con il titolo “Crocifissione collaterale” raffigurante Assange, proprio nella Settimana Santa, di fronte alla Willy-Brandt-Haus.

    Testo entro spoiler
    link al titolo del post.

    Con il tema “Crocifissione collaterale” il duo di artisti Captain Borderline ha realizzato a Berlino un gigantesco murales che rappresenta Julian Assange, il giornalista crocifisso. (Foto di Captain Borderline)
    Il duo di artisti Captain Borderline ha dipinto su un’intera facciata a Berlino un enorme murales con il titolo “Crocifissione collaterale” raffigurante Assange, proprio nella Settimana Santa, di fronte alla Willy-Brandt-Haus.

    Il murales è stato realizzato a Berlino di fronte alla sede del Partito Socialdemocratico SPD, la Willy-Brandt-Haus nel quartiere di Kreuzberg. Durante un’intervista i due artisti hanno spiegato il significato della rivoluzionaria opera d’arte rappresentante un crocifisso.

    Da quasi 10 anni Julian Assange è detenuto per aver svelato l’esistenza di crimini orribili e disumani in una guerra petrolifera che contravviene al diritto internazionale e per aver reso noto al grande pubblico le sue scoperte. L’inviato speciale ONU contro la tortura, Nils Melzer, è stata l’unica autorità ad aver condotto indagini serie su questo caso.

    Melzer è giunto alla conclusione che Julian Assange sia stato vittima di un gigantesco processo mediatico, il cui unico scopo è quello di mostrare ai media di tutto il mondo i limiti del giornalismo d’investigazione. Il vero tema di questo procedimento giudiziario contro Assange è quindi la libertà di stampa. Con questa caccia alle streghe si suggerisce a giornalisti e informatori che subirebbero la stessa sorte nel caso in cui dovessero riferire sulle macchinazioni illegali dell’establishment e dei governi americani o occidentali. Non c’è altra spiegazione al fatto che personaggi potenti come George W. Bush e Donald Rumsfeld possono impunemente invadere un paese come l’Iraq senza motivo, bombardarlo ed essere responsabili della morte di quasi un milione di persone, mentre un uomo come Assange, che in quanto giornalista e editore si limita a denunciare queste macchinazioni illegali dei guerrafondai, finisce per questo motivo in un carcere di massima sicurezza. I politici responsabili, Bush e i suoi amici, invece, possono godere indisturbati nei loro manieri delle ricchezze accumulate derubando. Per questo motivo chiediamo il rilascio immediato di Julian Assange dal carcere britannico e il rispetto della libertà di stampa.

    Per contribuire a portare alla luce la verità dietro al castello di bugie di cui Julian Assange è vittima da molti anni, il duo di artisti Captain Borderline ha realizzato quest’opera d’arte rivoluzionaria rappresentante il giornalista fondatore di Wikileaks messo in croce dal mondo dei media su un’intera facciata proprio davanti alla Willy-Brandt-House nel quartiere di Kreuzberg a Berlino, nella Settimana Santa che precede la Pasqua.

    N.B.: Acquistando una stampa serigrafica artistica è possibile sostenere l’associazione non profit di arte e cultura “Colorrevolution” finanziando un enorme dipinto murale (20 m. per 10 m.) di grande efficacia comunicativa di “Captain Borderline” su questo tema, proprio di fronte alla Willy-Brandt-Haus a Berlino.

    https://assange.colorrevolution.de/


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    Piccola grande svolta.
    Sarà abbastanza perché Julian Assange esca?
    E se uscirà chi garantirà la sua incolumità?

    Si chiude il Caso Assange? Testimone chiave ammette di aver mentito

    Key witness in Assange case admits to lies in indictment

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    Testo dei due articoli in italiano e in inglese entro spoiler

    Link ai titoli

    italiano
    I fatti hanno la testa dura e cade un altro castello di menzogne costruito contro Julian Assange, fondatore di Wikileaks e "colpevole" di aver rivelato al mondo i crimini di guerra degli Usa in Afghanistan e Iraq.
    Infatti, le accuse chiave nel caso contro il co-fondatore di WikiLeaks, che rischia fino a 175 anni di carcere se estradato negli Stati Uniti, si basano sulla testimonianza di un truffatore condannato che ha ammesso di aver mentito.

    Sigurdur Ingi Thordarson, un cittadino islandese ed ex volontario di WikiLeaks, diventato un informatore dell'FBI per $ 5.000, ha ammesso al quotidiano islandese Stundin di aver fabbricato parti importanti delle accuse nell'atto d'accusa.

    In un articolo pubblicato sabato, Stundin descrive in dettaglio diverse parti della sua testimonianza che ora nega, sostenendo che Assange non gli ha mai ordinato di eseguire alcun hacking.

    Il giornale sottolinea che, anche se un tribunale di Londra si è rifiutato di estradare Assange negli Stati Uniti per motivi umanitari, si è comunque schierato con gli Stati Uniti quando si è trattato di affermazioni basate sulla testimonianza ora negata di Thordarson.

    Tuttavia, ora secondo quanto riferito, il file in questione non può essere considerato esattamente "rubato" poiché si presumeva fosse stato distribuito e trapelato da informatori all'interno della banca molte persone online stavano tentando di decifrarlo in quel momento.

    Questo perché presumibilmente conteneva informazioni sui prestiti inadempienti forniti dall'islandese Landsbanki, la cui caduta nel 2008 ha portato a una grave crisi economica nel paese.

    Thordarson ha anche fornito al portale i registri delle chat del suo periodo di volontariato per WikiLeaks nel 2010 e nel 2011, mostrando le sue frequenti richieste agli hacker di attaccare o ottenere informazioni da entità e siti web islandesi. Ma, secondo Stundin, nessuno dei registri mostra che a Thordarson sia stato chiesto di farlo da qualcuno all'interno di WikiLeaks.

    Quello che mostrano, secondo il giornale, sono i continui tentativi da parte del volontario dell'organizzazione di gonfiare la sua posizione, descrivendosi come capo dello staff o capo delle comunicazioni.

    Nel 2012, WikiLeaks ha sporto denuncia contro Thordarson per appropriazione indebita e frode finanziaria. In seguito è stato condannato per entrambi i reati in Islanda.

    Stundin cita anche Ogmundur Jonasson, allora ministro degli interni islandese, il quale afferma che le autorità statunitensi stavano facendo di tutto per catturare Assange.

    "Stavano cercando di usare cose qui [in Islanda] e persone nel nostro paese per tessere una ragnatela, una ragnatela che avrebbe catturato Julian Assange."

    Il giornale ricorda che la testimonianza di Thordarson è la chiave per la linea dell'accusa che ritrae Assange come un criminale, piuttosto che un giornalista che pubblica materiale protetto dal Primo Emendamento, come il New York Times o altri media che hanno condiviso gli stessi documenti di WikiLeaks.

    Reagendo all'articolo bomba di Stundin, l'informatore della NSA Edward Snowden ha twittato: "Questa è la fine del caso contro Julian Assange". Il giornalista investigativo Glenn Greenwald ha concordato, dicendo: "Dovrebbe esserlo".
    Assange ha già trascorso più di due anni dietro le sbarre nella prigione di Belmarsh nel Regno Unito.

    Il governo degli Stati Uniti ha accusato il giornalista australiano ai sensi dell'Espionage Act, accusandolo di aver trafugato informazioni classificate nel 2010. All'epoca, WikiLeaks ha pubblicato documenti che descrivono in dettaglio gli abusi, compresi i possibili crimini di guerra, compiuti dalle forze armate statunitensi in Afghanistan e Iraq.

    Washington sta attualmente cercando la sua estradizione e Assange potrebbe essere incarcerato fino a 175 anni se ritenuto colpevole.

    All'inizio di giugno, il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura Nils Melzer ha invitato il governo del Regno Unito a rilasciare il giornalista, condannando la sua incarcerazione come "uno dei più grandi scandali giudiziari della storia".


    inglese
    A major witness in the United States’ Department of Justice case against Julian Assange has admitted to fabricating key accusations in the indictment against the Wikileaks founder.

    ON AN AUGUST workday in 2011, a cherubic 18-year-old Icelandic man named Sigurdur “Siggi” Thordarson walked through the stately doors of the U.S. embassy in Reykjavík, his jacket pocket concealing his calling card: a crumpled photocopy of an Australian passport. The passport photo showed a man with a unruly shock of platinum blonde hair and the name Julian Paul Assange.

    Thordarson was long time volunteer for WikiLeaks with direct access to Assange and a key position as an organizer in the group. With his cold war-style embassy walk-in, he became something else: the first known FBI informant inside WikiLeaks. For the next three months, Thordarson served two masters, working for the secret-spilling website and simultaneously spilling its secrets to the U.S. government in exchange, he says, for a total of about $5,000. The FBI flew him internationally four times for debriefings, including one trip to Washington D.C., and on the last meeting obtained from Thordarson eight hard drives packed with chat logs, video and other data from WikiLeaks.

    The relationship provides a rare window into the U.S. law enforcement investigation into WikiLeaks, the transparency group newly thrust back into international prominence with its assistance to NSA whistleblower Edward Snowden. Thordarson's double-life illustrates the lengths to which the government was willing to go in its pursuit of Julian Assange, approaching WikiLeaks with the tactics honed during the FBI’s work against organized crime and computer hacking — or, more darkly, the bureau’s Hoover-era infiltration of civil rights groups.

    "It’s a sign that the FBI views WikiLeaks as a suspected criminal organization rather than a news organization," says Stephen Aftergood of the Federation of American Scientists’ Project on Government Secrecy. “WikiLeaks was something new, so I think the FBI had to make a choice at some point as to how to evaluate it: Is this The New York Times, or is this something else? And they clearly decided it was something else.”

    The FBI declined comment.

    Thordarson was 17 years old and still in high school when he joined WikiLeaks in February 2010. He was one of a large contingent of Icelandic volunteers that flocked to Assange’s cause after WikiLeaks published internal bank documents pertaining to that country’s financial crisis.

    When a staff revolt in September 2010 left the organization short-handed, Assange put Thordarson in charge of the WikiLeaks chat room, making Thordarson the first point of contact for new volunteers, journalists, potential sources, and outside groups clamoring to get in with WikiLeaks at the peak of its notoriety.

    In that role, Thordarson was a middle man in the negotiations with the Bradley Manning Defense Fund that led to WikiLeaks donating $15,000 to the defense of its prime source. He greeted and handled a new volunteer who had begun downloading and organizing a vast trove of 1970s-era diplomatic cables from the National Archives and Record Administration, for what became WikiLeaks’ “Kissinger cables” collection last April. And he wrangled scores of volunteers and supporters who did everything from redesign WikiLeaks' websites to shooting video homages to Assange.

    He accumulated thousands of pages of chat logs from his time in WikiLeaks, which, he says, are now in the hands of the FBI.

    Thordarson’s betrayal of WikiLeaks also was a personal betrayal of its founder, Julian Assange, who, former colleagues say, took Thordarson under his wing, and kept him around in the face of criticism and legal controversy.

    “When Julian met him for the first or second time, I was there,” says Birgitta Jonsdottir, a member of Icelandic Parliament who worked with WikiLeaks on Collateral Murder, the Wikileaks release of footage of a US helicopter attack in Iraq. “And I warned Julian from day one, there’s something not right about this guy… I asked not to have him as part of the Collateral Murder team.”


    In January 2011, Thordarson was implicated in a bizarre political scandal in which a mysterious “spy computer” laptop was found running unattended in an empty office in the parliament building. “If you did [it], don't tell me,” Assange told Thordarson, according to unauthenticated chat logs provided by Thordarson.

    “I will defend you against all accusations, ring [sic] and wrong, and stick by you, as I have done,” Assange told him in another chat the next month. “But I expect total loyalty in return.”

    Instead, Thordarson used his proximity to Assange for his own purposes. The most consequential act came in June 2011, on his third visit to Ellingham Hall — the English mansion where Assange was then under house arrest while fighting extradition to Sweden.

    For reasons that remain murky, Thordarson decided to approach members of the Lulzsec hacking gang and solicit them to hack Islandic government systems as a service to WikiLeaks. To establish his bona fides as a WikiLeaks representative, he shot and uploaded a 40-second cell phone video that opens on the IRC screen with the chat in progress, and then floats across the room to capture Asssange at work with an associate. (This exchange was first reported by Parmy Olson in her book on Anonymous).


    Unfortunately for Thordarson, the FBI had busted Lulzsec’s leader, Hector Xavier Monsegur, AKA Sabu, a week earlier, and secured his cooperation as an informant. On June 20, the FBI warned the Icelandic government. “A huge team of FBI came to Iceland and asked the Icelandic authorities to help them,” says Jonsdottir. “They thought there was an imminent Lulzsec attack on Iceland.”

    The FBI may not have known at this point who Thordarson was beyond his screen names. The bureau and law enforcement agencies in the UK and Australia went on to round up alleged Lulzsec members on unrelated charges.

    Having dodged that bullet, it’s not clear what prompted Thordarson to approach the FBI two months later. When I asked him directly last week, he answered, “I guess I cooperated because I didn't want to participate in having Anonymous and Lulzsec hack for Wikileaks, since then you’re definitely breaking quite a lot of laws.”

    That answer doesn’t make a lot of sense, since it was Thordarson, not Assange, who asked Lulzsec to hack Iceland. There’s no evidence of any other WikiLeaks staffer being involved. He offered a second reason that he admits is more truthful: “The second reason was the adventure.”


    Thordarson’s equivocation highlights a hurdle in reporting on him: He is prone to lying. Jonsdottir calls him “pathological.” He admits he has lied to me in the past. For this story, Thordarson backed his account by providing emails that appear to be between him and his FBI handlers, flight records for some of his travels, and an FBI receipt indicating that he gave them eight hard drives. The Icelandic Ministry of the Interior has previously confirmed that the FBI flew to Iceland to interview Thordarson. Thordarson also testified to much of this account in a session of the Icelandic Parliament, with Jonsdottir in attendance.

    Finally, he has given me a substantial subset of the chat logs he says he passed to the FBI, amounting to about 2,000 pages, which, at the very least, proves that he kept logs and is willing to turn them over to a reporter disliked by Julian Assange.

    Thordarson’s “adventure” began on August 23, 2011, when he sent an email to the general delivery box for the U.S. embassy in Reykjavík “Regarding an Ongoing Criminal investigation in the United States.”

    “The nature of the intel that can be brought to light in that investigation will not be spoken over email conversation,” he wrote cryptically.

    An embassy security officer called him the same day. “He said, 'What investigation?' I said the Wikileaks,” says Thordarson. “He denied there was such an investigation, so I just said we both know there is.”

    Thordarson was invited to the embassy, where he presented a copy of Assange’s passport, the passport for Assange’s number two, Kristinn Hrafnsson, and a snippet of a private chat between Thordarson and Assange. The embassy official was noncommittal. He told Thordarson they might be in touch, but it would take at least a week.

    It happened much faster.


    FBI agents and two federal prosecutors landed in a private Gulfstream on the next day, on August 24, and Thordarson was summoned back to the embassy.

    He was met by the same embassy official who took his keys and his cell phone, then walked with him on a circuitous route through the streets of downtown Reykjavík, ending up at the Hotel Reykjavik Centrum, Thordarson says. There, Thordarson spent two hours in a hotel conference room talking to two FBI agents. Then they accompanied back to the embassy so he could put money in his parking meter, and back to the hotel for more debriefing.


    The agents asked him about his Lulzsec interactions, but were primarily interested in what he could give them on WikiLeaks. One of them asked him if he could wear a recording device on his next visit to London and get Assange to say something incriminating, or talk about Bradley Manning.

    “They asked what I use daily, have always on,” he says. “I said, my watch. So they said they could change that out for some recording watch.”

    Thordarson says he declined. “I like Assange, even considered him a friend,” he says. “I just didn't want to go that way.”

    In all, Thordarson spent 20 hours with the agents over about five days. Then the Icelandic government ordered the FBI to pack up and go home.

    It turns out the FBI had misled the local authorities about its purpose in the country. According to a timeline (.pdf) later released by the National Commissioner of the Icelandic Police, the FBI contacted Icelandic law enforcement to report Thordarson's embassy walk-in, and ask for permission to fly into the country to follow up. But the bureau had presented the request as an extension of its earlier investigation into Lulzsec, and failed to mention that its real target was WikiLeaks.

    WikiLeaks is well regarded in Iceland, and the incident errupted into a hot political topic when it surfaced there this year, with conservatives arguing that Iceland should have cooperated with the FBI, and liberals complaining about the agents being allowed into the country to begin with. "It became a massive controversy," says Jonsdottir. “And then none of them knew what sort of person Siggi is.”

    Politics aside, the FBI was not done with Thordarson.

    The agents persuaded Thordarson to fly to Copenhagen with them, he says, for another day of interviews. In October, he made a second trip to Denmark for another debriefing. Between meetings, Thordarson kept in touch with his handlers through disposable email accounts.

    In November 2011, Thordarson was fired from WikiLeaks. The organization had discovered he had set up an online WikiLeaks tee shirt store and arranged for the proceeds to go into his own bank account. WikiLeaks has said the embezzlement amounted to about $50,000.

    Thordarson told the FBI about it in a terse email on November 8. “No longer with WikiLeaks — so not sure how I can help you more.”

    “We'd still like to talk with you in person,” one of his handlers replied. “I can think of a couple of easy ways for you to help.”

    “Can you guys help me with cash?” Thordarson shot back.
    For the next few months, Thordarson begged the FBI for money, while the FBI alternately ignored him and courted him for more assistance. In the end, Thordarson says, the FBI agreed to compensate him for the work he missed while meeting with agents (he says he worked at a bodyguard-training school), totaling about $5,000.

    With the money settled, the FBI began preparing him for a trip to the U.S. “I wanted to talk to you about future things we can do,” his handler wrote in February. The FBI wanted him to reestablish contact with some of his former WikiLeaks associates. “We'll talk about specific goals of the chats, but you can get a head start before our meet by just getting in touch and catching up with them. If you need to know who specifically, we can discuss on the phone.”

    The three-day D.C. trip took place in February of last year. Thordarson says he flew on Iceland Air flight 631 to Logan International Airport on February 22, and transferred in Boston to JetBlue flight 686 to Dulles International Aiport, where he was greeted by a U.S. Customs official “and then escorted out the Dulles terminal into the arms of the FBI.”

    He stayed at a hotel in Arlington, Virginia, where the Justice Department’s investigation into WikiLeaks is centered, and met there with his two usual FBI contacts, and three or four other men in suits who did not identify themselves.


    “At the last day we went to a steak house and ate, all of us,” he says. “Where they served Coca Cola in glass bottles from Mexico.”

    On March 18, 2012, he had one more meeting with the FBI in Denmark. On this trip, he brought along eight of his personal hard drives, containing the information he’d compiled while at WikiLeaks, including his chat logs, photos and videos he shot at Ellingham Hall. The FBI gave him a signed receipt for the hardware.

    Then they cut him off.

    Today, Thordarson, now 20, has new problems. He’s facing criminal charges in Iceland for unrelated financial and tax crimes. In addition, WikiLeaks filed a police report for the tee-shirt shop embezzlement.

    The legacy of his cooperation with the FBI is unclear. A court filing revealed last week shows that in the months following Thordarson ’s last debriefing, Justice Department officials in Arlington, Virginia, began obtaining court orders targeting two of Thordarson ’s former WikiLeaks colleagues in Iceland: Smari McCarthy and Herbert Snorrason.

    Snorrason, who ran the WikiLeaks chat room in 2010, before Thordarson took it over, had the entire contents of his Gmail account handed over to the government, under a secret search warrant issued in October 2011.

    The evidence used to obtain the warrant remains under seal. “I do wonder,” says Thordarson, “whether I’m somewhere in there.”
     
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    Assange e il testimone dell'FBI



    link al titolo
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    Scritto da Michele Paris
    Pubblicato: 28 Giugno 2021

    Il caso di Julian Assange potrebbe essere arrivato a una svolta dopo le dichiarazioni rilasciate da uno dei testimoni chiave utilizzati dal governo americano per costruire il castello di accuse contro il fondatore di WikiLeaks. Visto il carattere persecutorio e illegale del procedimento di incriminazione ai danni del giornalista australiano, è più che probabile che la sorte di quest’ultimo rimarrà precaria, ma gli ultimi sviluppi confermano clamorosamente come il dipartimento di Giustizia di Washington abbia basato il proprio impianto accusatorio sulle menzogne di un testimone ultra-screditato in cambio dell’immunità garantitagli dallo stesso governo USA.

    Il testimone in questione è il cittadino islandese Sigudur “Siggi” Ingi Thordarson, il quale in un’intervista alla rivista Stundin ha ammesso di avere fabbricato le accuse rivolte contro Jualian Assange. La sua testimonianza costituisce il fulcro del capo d’accusa aggiuntivo contestato dalla giustizia americana ad Assange nel giugno del 2020, sostanzialmente allo scopo di rafforzare la posizione di Washington nel processo di estradizione tuttora in corso a Londra.

    Alla luce delle implicazioni per la libertà di stampa derivanti dall’incriminazione di un giornalista ed editore come Assange in base al dettato del cosiddetto “Espionage Act” del 1917, l’allora amministrazione Trump si era mossa per rendere più grave la sua posizione, accusandolo di avere favorito l’hackeraggio di sistemi informatici governativi al fine di ottenere informazioni classificate. Prendendo forse spunto da una dichiarazione pubblica di Joe Biden nel 2010, il dipartimento di Giustizia di Trump aveva cioè cercato di dipingere Assange non come un giornalista, ma come un vero e proprio “hacker”.

    Biden aveva spiegato in quell’occasione che se si fosse dimostrato un eventuale “complotto con membri delle forze armate USA per ottenere documenti riservati”, il caso contro Assange sarebbe stato molto più solido rispetto a una situazione nella quale a un giornalista viene semplicemente consegnato del materiale segreto da pubblicare. Grazie alla falsa testimonianza di Thordarson, dunque, il governo americano aveva cercato di rendere più solida l’accusa, mai provata, della “cospirazione” tra Assange e Chelsea Manning per penetrare nei computer del dipartimento della Difesa e, parallelamente, per dimostrare un’iniziativa simile ai danni di una banca islandese e di personalità politiche di questo paese.

    Secondo quanto sostenuto dal dipartimento di Giustizia americano, all’inizio del 2010 Assange aveva chiesto a Thordarson, indicato semplicemente come “Teenager” per via della sua giovane età, di entrare in possesso di comunicazioni telefoniche ed elettroniche di funzionari di alto livello dell’Islanda, definita come “paese NATO 1”, inclusi membri del parlamento di Reykjavik. Thordarson ha invece smentito questa versione nella sua intervista al giornale islandese Stundin. Egli stesso ammette che Assange “non gli ha mai chiesto di hackerare i telefoni dei parlamentari” islandesi. Al contrario, Thordarson ha ricevuto il materiale in questione da una fonte terza che sosteneva di avere registrato le comunicazioni dei membri del parlamento e desiderava condividerle con WikiLeaks senza conoscerne il contenuto.

    Identico discorso vale per le informazioni riservate provenienti dall’interno della banca islandese Landsbanki, andata in crisi nell’autunno del 2008 assieme a praticamente tutte le altre istituzioni bancarie islandesi, precipitando il paese in una gravissima crisi economica. Anche per questo materiale non ci sono evidenze che esso fu “sottratto” alla banca, ma venne piuttosto “distribuito” da fonti interne all’istituto e, già nell’estate del 2010, condiviso da molti in rete.

    La terza smentita di Thordarson riguarda la tesi sostenuta dal dipartimento di Giustizia USA in merito al presunto accesso non autorizzato di Assange ad un sito web governativo islandese utilizzato per il tracciamento dei veicoli della polizia e del primo soccorso. Thordarson ha rivelato che fu lui a penetrare questo sito grazie alle credenziali che aveva come volontario di primo soccorso, mentre Assange non gli avrebbe mai chiesto nulla in proposito.

    Importantissimo infine è il chiarimento fornito circa le comunicazioni avvenute tra Thordarson e alcuni gruppi di “hacker” a cui venivano sollecitati attacchi informatici in Islanda. Stundin è in grado di confermare, grazie all’esame delle chat di Thordarson, che né Assange né altri all’interno di WikiLeaks gli avevano dato istruzioni per agire in questo modo né di ciò erano in qualche modo al corrente. WikiLeaks, oltretutto, non aveva alcun interesse a colpire l’Islanda, anche perché era in corso allora una collaborazione con alcuni parlamentari per l’approvazione di una legge sulla libertà di stampa.

    Thordarson, va aggiunto, non ha mai fatto parte di WikiLeaks, ma si era insinuato nell’organizzazione giornalistica nel 2010 svolgendo tutt’al più l’attività di volontario. Il suo comportamento era apparso da subito sospetto, visto che in più di un’occasione si era presentato a giornalisti e “hacker” come un membro di spicco di WikiLeaks senza averne l’autorizzazione. Nell’estate del 2011, poi, WikiLeaks denunciò Thordarson per l’appropriazione di 50 mila dollari provenienti dalle donazioni dei sostenitori e dalla vendita di “merchandising”.

    Il precipitare dei rapporti con WikiLeaks spinse Thordarson a rivolgersi al governo americano per offrire i propri servizi all’FBI, probabilmente anche in seguito ai contatti intrattenuti con un altro “hacker”, Hector Xavier Monsegur, anch’egli diventato informatore del “Bureau” dopo essere stato arrestato per una serie di attacchi informatici, alcuni dei quali contro istituzioni islandesi.

    Nella stessa estate del 2011, funzionari del governo USA arrivarono a Reykjavik, ufficialmente per informare l’Islanda delle minacce alla propria sicurezza informatica. In realtà, si trattava di un pretesto per incontrare Thordarson, che sarebbe stato infatti trasferito negli Stati Uniti di lì a poco, e per mettere le mani sui documenti in suo possesso. Thordarson sarebbe stato in ogni caso condannato nel 2013 e nel 2014 per vari reati, dall’appropriazione indebita di fondi di WikiLeaks alle molestie su miniori.

    Dopo l’arresto illegale di Assange nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra nell’aprile del 2019, Thordarson fu di nuovo riciclato dal governo americano. In cambio dell’immunità negli USA, sottoscrisse un accordo con il dipartimento di Giustizia per gettare fango su Assange e permettere appunto a Washington di provare a costruire un’accusa più solida nel procedimento di estradizione in corso nel Regno Unito.

    L’intervista pubblicata da Stundin conferma così le manovre illegali del governo degli Stati Uniti per incriminare Assange e mettere il bavaglio non solo a WikiLeaks, ma anche a qualsiasi giornalista che intenda far luce sui crimini di Washington. In questa vera e propria cospirazione sono coinvolti almeno anche i governi di Regno Unito, Ecuador, Australia e Svezia, dove Assange è stato a lungo al centro di una farsa giudiziaria derivante da accuse ultra-manipolate di stupro.

    Il ricorso alla testimonianza di un criminale con varie condanne sulle spalle come Sigudur Thordarson non è ad ogni modo l’unica operazione sporca a cui ha fatto ricorso il governo americano. Tra le altre, basti pensare alle operazioni di sorveglianza condotte ai danni di Assange e dei suoi visitatori durante la permanenza forzata nell’edificio che ospita l’ambasciata dell’Ecuador a Londra. Alcuni dei particolari di questa vicenda erano emersi in concomitanza con l’apertura di un procedimento legale in Spagna contro la società a cui la CIA aveva assegnato il compito di controllare le attività e le comunicazioni di Assange.

    Le irregolarità e le violazioni della legge da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati nella persecuzione di Julian Assange sono tante e tali da determinare, in una situazione normale, un’archiviazione immediata del suo caso. Il numero di uno di WikiLeaks, alla soglia del suo 50esimo compleanno, continua invece da un decennio a essere vittima di un colossale complotto che lo priva ingiustamente della libertà e lo espone tuttora al rischio, se estradato negli USA, di una condanna fino a 175 anni di carcere, se non addirittura a morte. È quindi tutt’altro che scontato che le parole del testimone del governo americano Thordarson possano giocare a favore di Assange, nonostante la portata oggettivamente esplosiva e le implicazioni dirette sul suo caso.

    Lo scorso gennaio, la giudice britannica che presiede alla vicenda giudiziaria, Vanessa Baraitser, aveva deliberato contro l’estradizione per via del rischio di suicidio a cui potrebbe andare incontro Assange se finisse nella rete del sistema carcerario americano. La stessa giudice aveva tuttavia appoggiato in pieno le tesi del dipartimento di Giustizia USA e disposto la permanenza di Assange nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh in attesa della sentenza di appello.

    In un sistema realmente democratico, dove la libertà di stampa non ha vincoli né limiti, anche senza considerare il contesto o i precedenti, le recenti ammissioni di Sigudur Thordarson dovrebbero far giungere alla conclusione a cui è arrivato Edward Snowden. In un tweet postato nel fine settimana, l’ex “contractor” della CIA ha scritto che la pubblicazione dell’intervista a Thordarson dovrebbe rappresentare semplicemente “la fine del procedimento contro Julian Assange”.


    assange



    Testimone chiave nel processo contro Assange rivela di aver fabbricato false accuse per conto del governo Usa



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    Si sarebbe 'infiltrato' fin dal 2010 nell'organizzazione WikiLeaks per fabbricare false prove contro Julian Assange per conto degli Stati Uniti. E' la confessione di Sigurdur Ingi Thordarson, islandese ed ex volontario dell'organizzazione fondata da Assange, al giornale islandese "Stundin".

    Testimone chiave nel caso del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti contro il giornalista australiano, Thordarson rivela ora di essere stato reclutato dalle autorità statunitensi: le sue dichiarazioni sono state fondamentali per costruire le accuse di cospirazione contro Assange. L'islandese in un primo tempo aveva sostenuto di aver ricevuto da WikiLealks l'incarico a compiere intrusioni informatiche e attacchi hacker contro obiettivi islandesi. Adesso invece smentisce quanto affermato in precedenza, dicendo di essersi inventato tutto.

    "Thordarson ammette che Assange non gli ha mai chiesto di hackerare o accedere alle registrazioni telefoniche dei parlamentari [islandesi, ndr]" ha riferito "Stundin" sabato scorso. "La sua nuova affermazione è che aveva in effetti ricevuto alcuni file da una terza parte che sosteneva di aver registrato i parlamentari e si era offerto di condividerli con Assange senza avere alcuna idea di cosa contenessero effettivamente. Afferma di non aver mai verificato il contenuto dei file o anche se contenevano registrazioni audio come suggerito dalla sua fonte terza".

    "E' la fine del caso contro Julian Assange", ha commentato Edward Snowden su twitter. La testimonianze di Thordarson sarebbe stata infatti necessaria a sostenere l'accusa di cospirazione contro Assange relativamente ai contatti avuti con Chelsea Manning. I funzionari statunitensi hanno avuto successo, tanto che nella sentenza del 4 gennaio scorso, la giudice inglese Vanessa Baraitser, ha negato l'estradizione negli Usa di Assange per ragioni umanitarie e non per la decadenza delle accuse.

    Intanto il fondatore di WikiLeaks, divenuto un simbolo della libertà di stampa in tutto il mondo, ha trascorso già oltre due anni nella prigione di Belmarsh nel Regno Unito. Se venisse estradato, facendo seguito alle richieste di Washington, rischierebbe fino a 175 anni di carcere in caso di una sua dimostrata colpevolezza.

    Il governo Usa lo ha incriminato in base all'Espionage Act, accusandolo di aver trafugato informazioni segrete nel 2010. Allora WikiLeaks aveva pubblicato documenti che descrivono abusi militari, compresi incrimini di guerra, compiuti dalle forze armate statunitensi in Afghanistan e Iraq.
     
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    effemeridante risvegliato

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    Tante ne sono state dette in questi ultimi mesi.

    I fatti sono limpidi, il bene e il male risaltano evidenti perché la mediocrità criminale dei tempi attuali non lascia spazio a dubbi.

    Di seguito articolo scelto a caso: qualunque fonte di informazione, vera o comperata, non può non riportare quello che è.

    https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/04/2...uzione/6565133/

    Julian Assange, la sua estradizione è una moderna forma di esecuzione

    assange-1200-690x362



    entro spoiler il testo

    Stefania Limiti
    Giornalista e scrittrice

    GIUSTIZIA & IMPUNITÀ
    - 20 APRILE 2022
    Julian Assange, la sua estradizione è una moderna forma di esecuzione
    Julian Assange, la sua estradizione è una moderna forma di esecuzione
    Ora c’è l’ordine di estradizione, emesso dalla Westminster Magistrates Court di Londra. Manca solo il via libera del ministro dell’Interno, il super falco Priti Patel, poi Julian Assange sarà deportato negli Stati Uniti: allora assisteremo ad una moderna forma di esecuzione.

    Perché questo attende il 50enne australiano ricercato dai tribunali americani per la diffusione, dal 2010, di oltre 700mila documenti riservati sulle attività militari e diplomatiche svolte soprattutto in Iraq e in Afghanistan. L’estradizione è in sé un brutale atto di condanna a morte contro di lui. Non pensiamo solo alle sue gravissime condizioni di salute, provato nel fisico dalla lunga e penosa fuga, o all’accusa di complicità nell’hackeraggio dell’archivio del Pentagono, ma alla legge contro lo spionaggio (l’“Espionage Act” del 1917) invocata dalle autorità statunitensi: prevede una pena monstre di 175 anni di carcere per il whistleblower più noto del mondo. Una legge mai invocata prima d’ora nella storia americana moderna per una vicenda di diffusione di documenti riservati, o anche top secret.

    Dopo un inseguimento durato un decennio da parte dei governi Usa, il giornalista australiano pare ormai giunto al capolinea della sua battaglia, sostenuto da una parte dell’opinione pubblica occidentale solidale ma impotente. Il Regno Unito non ha alcun obbligo a trasferire Assange, come qualsiasi altra persona, in un luogo in cui la sua vita o la sua salute sarebbero in pericolo. Il governo di Londra ha assunto la postura di un burocratico esecutore della volontà di Washinghton. “Gli Usa hanno palesemente dichiarato che cambieranno le condizioni di detenzione di Assange quando lo riterranno opportuno. Questa ammissione rischia fortemente di procurare ad Assange danni irreversibili al suo benessere fisico e psicologico”, ha dichiarato Agnes Callamard, segretaria generale di Amnesty International che parla dell’estradizione come una forma di tortura.

    La brutalità contro di lui è segno dei tempi: la tutela del segreto è vitale per tutti quegli Stati che vivono facendo le guerre condotte con criteri sofisticati e violenti, fortemente repressivi nei confronti delle popolazioni dei territori invasi. Dalla prima guerra del Golfo in poi le regole sono fortemente cambiate: oltre le linee sono ammessi sono giornalisti embedded perché ciò che viene fatto al di là non deve trapelare, non deve essere raccontato se non in forma edulcorata (ma molti commentatori hanno scoperto la propaganda di guerra solo dopo l’aggressione all’Ucraina).

    Penserete alla brutalità della lontana guerra in Vietnam: vero, ma allora il famoso Daniel Ellsberg, che svelò i Pentagon Papers (1967) e le porcherie di quell’invasione, facendo tremare l’establishment americano, non venne condannato neanche a un giorno di carcere, perché la sua libertà di fare informazione fu ritenuta superiore alle leggi sulla riservatezza degli atti pubblici. E non servirono a niente le manovre diversive del segretario alla Difesa McNamara. Il caso Assange è davvero diverso, ed è segno della brutalità dei tempi.
     
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    effemeridante risvegliato

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    In un mondo in cui la verità è falsa e la falsità vera, non ci si poteva aspettare altro.
    Giornale mainstream a caso, il primo titolo che ho trovato, tanto i fatti non cambiano >

    Julian Assange, il governo britannico ordina la sua estradizione negli Stati Uniti. Rischia una condanna a 175 anni di carcere
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    L'attivista australiano e il suo entourage legale hanno adesso 14 giorni per presentare ricorso contro la decisione del governo di Boris Johnson, opzione che verrà esercitata, come confermano anche dall'organizzazione: "Chiunque in questo Paese tenga alla libertà di espressione dovrebbe vergognarsi profondamente"

    di F. Q. | 17 GIUGNO 2022


    L’epilogo temuto dai sostenitori del fondatore di Wikileaks, Julian Assange, è diventato realtà. La ministra dell’Interno britannica, Priti Patel, ha ordinato l’estradizione negli Stati Uniti del giornalista e attivista che con la nota piattaforma online svelò documenti secretati del governo americano provando numerosi crimini di guerra commessi dall’esercito di Washington negli anni delle missioni militari in Iraq e Afghanistan. Il via libera finale da parte della responsabile dell’Home Office, che era atteso, arriva dopo che nel Regno Unito era stata completata la procedura giudiziaria sulla controversa vicenda dell’attivista australiano che rischia di scontare in un carcere Usa una pesantissima condanna, fino a 175 anni di carcere. “Un giorno buio per la libertà di stampa”, ha commentato WikiLeaks appena appresa la notizia.

    L’attivista australiano e il suo entourage legale hanno adesso 14 giorni per presentare ricorso contro la decisione del governo di Boris Johnson, opzione che verrà esercitata, come confermano anche dall’organizzazione: “Chiunque in questo Paese tenga alla libertà di espressione dovrebbe vergognarsi profondamente del fatto che la ministra dell’Interno ha approvato l’estradizione di Julian Assange negli Usa, il Paese che ha complottato per assassinarlo“, hanno aggiunto. Intanto il ministero ha affermato che “i tribunali del Regno Unito non hanno ritenuto che sarebbe oppressivo, ingiusto o un abuso processuale estradare Assange. Né hanno ritenuto che l’estradizione sarebbe incompatibile con i suoi diritti umani, compreso il suo diritto a un processo equo e alla libertà di espressione, e che mentre si trova negli Stati Uniti sarà trattato in modo appropriato, anche in relazione alla sua salute”. Garanzie che sono state richieste e, per i giudici, soddisfatte dall’amministrazione di Washington.

    La moglie di Assange e l’organizzazione continuano senza sosta la propria battaglia per chiedere giustizia nei confronti dell’attivista fondatore di Wikileaks. Stella Moris, avvocata sudafricana specialista in diritti umani che con Assange ha avuto due figli durante gli anni del suo asilo nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra e lo ha poi sposato nei mesi scorsi nel carcere londinese di Belmarsh, ha parlato di “un giorno nero” non solo per la libertà d’informazione, ma anche per la “democrazia britannica”. “Julian non ha fatto nulla di sbagliato – ha proseguito – è un giornalista ed editore punito per aver fatto il suo dovere” rivelando documenti riservati e informazioni imbarazzanti su atti compiuti da vari Stati, Usa compresi. “Priti Patel aveva il potere di fare la cosa giusta, invece sarà ricordata come complice degli Stati Uniti, del loro progetto di trasformare del giornalismo investigativo in un’impresa criminale”. Secondo Morris, comunque, anche se “la strada verso la libertà di Julian si fa lunga e tortuosa”, la battaglia “non finisce qua”: a partire “dall’appello che riproporremo all’Alta Corte” di Londra e dall’organizzazione di proteste di piazza. “Non vi sbagliate – conclude -, questo è sempre stato un caso politico, non legale. Julian ha pubblicato prove sui crimini di guerra, le torture, la corruzione di funzionari stranieri commessi dal Paese che sta cercando di farselo consegnare”.

    Anche Amnesty International si è opposta alla decisione dell’esecutivo di Londra: “Consentire che Julian Assange venga estradato negli Stati Uniti significherebbe esporre lui a un grande rischio e mandare un messaggio agghiacciante ai giornalisti di tutto il mondo”, ha dichiarato Agnes Callamard, segretaria generale dell’organizzazione. Secondo l’attivista per i diritti umani le rassicurazioni diplomatiche offerte da Washington sono insufficienti e non credibili, in particolare quelle su “l’isolamento prolungato in carcere, cosa che violerebbe il divieto di tortura e di maltrattamento” dei detenuti, dati “i precedenti della storia giudiziaria” americana.
     
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    Il governo inglese che "ordina" l'estradizione...
     
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